LA DIMENSIONE SOCIALE
DELLA RIGENERAZIONE URBANA

Corso di formazione per tecnici della Pubblica Amministrazione

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INTRODUZIONE

Roberto Gabrielli e Gabriele Bollini

Nella nuova legge urbanistica di Regione Emilia-Romagna, la rigenerazione urbana rappresenta il tema centrale.Sullo sfondo, vi sono le grandi questioni dell’incontro tra governo pubblico delle trasformazioni urbane e forme emergenti di innovazione sociale, che reclamano un ripensamento delle relazioni tra istituzioni e società: abilitazione, più che “comando e controllo”; co-progettazione e co-creazione, più che ascolto; riconoscimento delle capacità della società di trattare efficacemente problemi collettivi, più che imposizione dall’alto di modelli di intervento.

Per provare ad entrare nel merito di queste questioni e fornire delle indicazioni operative per trattarle, abbiamo progettato un momento formativo rivolto ai tecnici della pubblica amministrazione, sulla “dimensione sociale” della rigenerazione urbana, per il quale abbiamo coinvolto docenti, scelti tra ricercatori, esperti, professionisti, attivisti dei processi di rigenerazione, cui abbiamo chiesto un contributo di riflessione e di proposta sull'argomento. L’obiettivo era quello di aprire nuovi sguardi all’interno della pubblica amministrazione, e, in prospettiva, dare forma a nuove figure professionali, dalla parte della Pubblica Amministrazione, in grado di impostare, valutare e gestire processi di rigenerazione urbana centrati sugli aspetti sociali, sui rapporti umani di comunità e sull’innovazione sociale.

ASSESSORATO AI TRASPORTI, RETI INFRASTRUTTURE MATERIALI E IMMATERIALI, PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE E AGENDA DIGITALE
Raffaele Donini - Assessore

DIREZIONE GENERALE CURA DEL TERRITORIO E DELL'AMBIENTE
Paolo Ferecchi - Direttore

SERVIZIO PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA DEI TRASPORTI E DEL PAESAGGIO
Roberto Gabrielli - Responsabile

INTENSE DOMANDE SPECIFICHE

Minoranze, diversità, disuguaglianze

I nuovi caratteri della domanda sociale delineano un passaggio da estesi fabbisogni, espressi da ampi strati della popolazione, a intense domande specifiche, generate da una società della iperdiversità. La fuoriuscita dagli approcci standard di erogazione dei servizi sollecita la riformulazione di saperi, competenze, modelli di intervento, costringendo ad una profonda rivisitazione del sistema di offerta.

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DI MASSIMO BRICOCOLI

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“Oggi c’è moltissima domanda di servizi sociali da parte di persone che non hanno titolo all’assistenza sociale, che esprimono però bisogni rispetto ai quali le amministrazioni pubbliche devono decidere come collocarsi: l’invecchiamento della popolazione è quello più emblematico. ”(MASSIMO BRICOCOLI)

OLTRE LA "TEORIA AMMINISTRATIVA DEI BISOGNI"

“Destandardizzare” e articolare le politiche

La domanda sociale è plurale. Le domande sociali sono implicite. C’è un lavoro di riconoscimento, emersione e abilitazione. Occorre ancorare l’azione pubblica ai contesti e attivare e coinvolgere la pluralità di attori implicati, inclusi ovviamente gli abitanti e le loro risorse. Ma occorre anche assumere la globalità delle problematiche dei quartieri target, intervenendo sulle persone e sui luoghi.

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DI CARLOTTA FIORETTI

“VI sono politiche di inclusione dei migranti che partono dalla dimensione territoriale,finalizzate alla rigenerazione di determinate aree. Per queste, i migranti sono considerati non solo target, ma risorse del policy design.”(CARLOTTA FIORETTI)

“La dimensione micro, regno delle pratiche, va messa a fuoco come una leva cruciale per istituire tra istituzioni e cittadini un circuito virtuoso di apprendimento reciproco, con ciò accrescendo l’ intelligenza istituzionale.”(OTA DE LEONARDIS)

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DI OTA DE LEONARDIS

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INNOVAZIONE SOCIALE

L’“azione sociale diretta” alla prova delle politiche

«L’innovazione sociale è l’insieme delle azioni collettive orientate a soddisfare bisogni (materiali e non) che né lo Stato, né il mercato riescono a soddisfare» (Serena Vicari). Ma tali azioni devono aumentare la capacità di azione e partecipazione di individui e gruppi svantaggiati e cambiare le relazioni di potere, a favore di una più ampia inclusione nei processi decisionali e di una maggiore equità nella distribuzione delle risorse.

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DI SERENA VICARI

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“L’innovazione sociale segnala un momento di rottura, si colloca in una fase in cui ci interroghiamo su che società vogliamo mettere insieme.”(SERENA VICARI)

LO SPAZIO (DEL) PUBBLICO

Cosa è (il) pubblico?

Una questione centrale è quella dello spazio pubblico. Renderlo accessibile, percorribile, fruibile agli utenti deboli, significa incrementarne le capacità, redistribuire potere e rendere la città più giusta. Cosa qualifica uno spazio come pubblico? Non dipende dalla proprietà, ma dall’uso che se ne fa e dalle norme che ne regolano l’accesso, che ne riconoscono il carattere collettivo.

“Pensare che nella città ci siano
spazi e luoghi di uso pubblico ma
non necessariamente di proprietà pubblica
è una prospettiva che va esplorata.” (BIBO CECCHINI)

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DI BIBO CECCHINI

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DI ROBERTA GUIDO

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IL DIRITTO ALLA CITTÀ

Produzione di beni pubblici e “licenze sociali”

«la possibilità, per tutti, di fruire dei beni costituiti dall’organizzazione urbana del territorio, e uguale possibilità, per tutti, di partecipare alle decisioni sulle trasformazioni» (Henry Lefebvre). «Rivendicare il diritto alla città […] significa rivendicare una forma di potere decisionale sui processi di urbanizzazione e sul modo in cui le nostre città sono costruite e ricostruite, agendo in modo diretto e radicale» (David Harvey).

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DI ELENA OSTANEL

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“Collocare gli sforzi del planning sul ridare significato ai luoghi puntuali, per poi – a ritroso – su che tipo di pianificazione si vuole costruire.” (ELENA OSTANEL)

LE CONDIZIONI SONO CAMBIATE

I nuovi caratteri del mercato urbano

Come indica Ezio Micelli, il mercato immobiliare si trova oggi in una strutturale condizione di contrazione, per riduzione della domanda (invecchiamento della popolazione) e redistribuzione interna (la domanda è rivolta principalmente verso i poli metropolitani). La pianificazione urbanistica dovrebbe smetterla di accontentarsi di agende costruite in negativo (“stop al consumo di suolo”), per provare a costruirne in positivo, dando spazio all’innovazione sociale.

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DI EZIO MICELLI

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“Ritornare al patrimonio esistente e confrontarsi con un percorso che è insieme di riqualificazione fisica e di rigenerazione sociale ed economica di ciò che già c’è. [...] L’esercizio mentale è pensare nuovi modi attraverso i quali gli asset immobiliari sono in grado di esprimere nuovo valore per il proprietario e per la comunità.” (EZIO MICELLI)

MODELLI ALTERNATIVI DI RIGENERAZIONE URBANA?

Sperimentazioni place-based e “capacità di aspirare”

Un criterio essenziale di valutazione delle politiche di rigenerazione dovrebbero riguardare l’accesso ai servizi urbani (tra cui l’accesso alla casa): in che misura, un programma di rigenerazione ampia la dotazione e la qualità di fruizione dei servizi urbani? L’offerta di servizi abitativi pubblici non può essere limitata al solo patrimonio di proprietà pubblica, ma va estesa al patrimonio privato, nei confronti del quale il pubblico può agire come intermediario.

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DI MARCO MARCATILI

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“Intervenire sulla città significa agire sulle strutture, l’hardware (la pietra); ma anche le risorse, le energie, le identità, i conflitti, il software (la carne). Nel magma della crisi urbana emerge un bisogno di pensiero urbano complesso, attento, disponibile, che ha bisogno di comunità di saperi, comunità di prossimità, interconnessioni, transdisciplinarietà.”(ILDA CURTI)

LA RIGENERAZIONE URBANA È UN PROCESSO

Empowerment e brokerage

Per governare processi complessi, occorrono “nuovi paradigmi”, un profondo ripensamento dei saperi tecnici e delle competenze disciplinari. In Italia, ci si è concentrati in genere su cosa rigenerare e meno su chi e come. Spesso sottotraccia, vi sono però comunità di saperi che hanno messo in campo politiche e strumenti gestionali capaci di pilotare processi di rigenerazione integrati.

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DI ILDA CURTI

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DI ANDREA BOCCO

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L’APPROCCIO DELL’ECONOMIA FONDAMENTALE

Governare “le strutture del quotidiano”

Le sfide per politiche place-based orientate all’innovazione: incoraggiare lo sviluppo di comunità; non attendere investimenti dall’esterno, ma riconoscere quel che c’è già nei territori e nelle comunità, immediatamente utilizzabile per produrre valore sociale; sperimentare; ascoltare e dare spazio alle voci dei marginali; permettere la cooperazione tra società civile, attori economici e istituzioni.

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DI ANGELO SALENTO

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DI Luca Calafati

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RICONOSCERE GLI INNOVATORI SOCIALI

Si definiscono per il cambiamento che producono, più che per quello che sono

Oggi, di fronte all’emergere degli attori dell’innovazione sociale, è ancora possibile affermare che il rapporto tra stato e società sia iscrivibile nei confini della partnership pubblico-privato? L’articolazione sociale è irriducibile alla coppia pubblico-privato, perché ciascuno di questi ambiti è in effetti composto da soggetti il cui operato mette in tensione i confini di un riconoscimento basato sulla sola natura giuridica.

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DI ANNALISA GRAMIGNA

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“Occorre superare l’impostazione statalista novecentesca, ma riconoscere il rilievo dell’azione pubblica: le attività ad alta intensità di capitale richiedono un intervento pubblico diretto; le attività gestite da privati richiedono interventi di regolazione fondati sul principio della licenza sociale.”(ANGELO SALENTO)

CO-CREARE CON GLI INNOVATORI SOCIALI

Co-governance e produzione della nuova città

Secondo Lab-Gov, lavorare con gli innovatori sociali, che sono imprenditori civici, significa: costruire meccanismi di governance allargati a molteplici attori; rendere abilitanti le politiche pubbliche (cambiare le regolazioni); garantire eguale accesso alla tecnologia; assumere unapproccio sperimentale; generare nuove economie dalla riattivazione dei beni comuni.

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DI CHIARA PREVETE

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“Non esiste un modello replicabile né una unica soluzione. Tutto va sperimentato e necessita di un lungo processo di costruzione comune. Non è pensabile che un regolamento dei beni comuni sviluppato in una città possa essere uguale trasferito identico in altre città.”(CHIARA PREVETE)

“[I laboratori di barriera sono] un luogo composito che crediamo trasmetta una sensazione di accoglimento. È molto presente l’aspetto di riconoscibilità della condizione artigianale, del “fatto a mano” [...]. È uno spazio costruito sulle relazioni.”(ANDREA BOCCO)

PARTECIPAZIONE E RIGENERAZIONE URBANA

Coinvolgimento e mobilitazione dal basso

La partecipazione ridotta a tecnica è inservibile per la rigenerazione urbana. Oggi si assiste a forme di “azione sociale diretta”, che esprimono, prima che una richiesta di ascolto presso i decisori politici, una esigenza di fare in prima persona, senza intermediazioni: dalla gestione dei beni comuni, alla riattivazione di spazi e immobili dismessi.

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DI GIANFRANCO POMATTO

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“la rigenerazione urbana a base culturale è un ambito di design che favorisce la capacità di guardare il futuro e che intercetta le esperienze di cambiamento spontaneo e collaborativo già in atto”(ERIKA LAZZARINO)

CITY MAKING

Chi fa la città

I city maker sono, ad esempio, gestori di immobili pubblici, che offrono servizi (sociali, culturali, per il tempo libero, di promozione del lavoro, ecc.) alla comunità locale e con la quale li co-producono (lavorano per e con la comunità per incrementarne le capacità). Le pratiche di city making sono una sfida per le pubbliche amministrazioni, che devono assumere modelli di azione orientati all’abilitazione, più che al controllo.

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DI CLAUDIO CALVARESI

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“Occorre costruire delle politiche per le periferie in cui si riconosca il ruolo della cittadinanza attiva e degli imprenditori civici, verso un incontro tra programmazione centrale, innovatori e amministrazioni locali costruita non tanto sulla base di occasionalità dei bandi, ma attraverso programmi più consolidati e forme di patto di più ampio respiro.”(CLAUDIO CALVARESI)

LA RIGENERAZIONA URBANA A BASE CULTURALE

Pratiche culturali e produzione di città

La rigenerazione a base culturale: favorisce l’incontro tra cambiamento sociale e pianificazione del cambiamento; lavora nei quartieri difficili per far emergere le competenze degli attori e, sulla base di queste, costruire percorsi di sviluppo locale; è un esercizio quotidiano, perché prevede che il lavoro dell’operatore si sviluppi nel quartiere, in un dialogo di lunga lena con gli abitanti.

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DI ERIKA LAZZARINO

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UN LAVORO DI CURA

Cucire mondi, tessere relazioni

Aver cura significa rifiutare la retorica della rigenerazione che nasce dal voler vedere nelle periferie solo marginalità, esclusione, povertà; costruire una nuova narrazione del territorio, che ne abiliti lo sviluppo; lavorare sui conflitti e trasformarli in proposte; coniugare indagine sul campo, pratiche di ascolto e coinvolgimento delle comunità, attività di comunicazione, promozione territoriale e di progettazione integrata.

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DI CLAUDIO GNESSI

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“il rigenerazionismo è l’altra faccia del degradismo. L’uno va a braccetto con l’altro. Moderni Stanlio, Ollio, di una visione grottesca della città. Dove c’è degrado, c’è periferia e dunque occorre rigenerare. Secondo questa equazione si sono creati a Roma, e non solo, operazioni immobiliari sconsiderate e gigantesche.”(CLAUDIO GNESSI)